Perché le vacanze di un professionista fanno bene anche ai suoi clienti

Se ti è capitato di avere bisogno dell’aiuto di un libero professionista e di non averlo trovato perché in vacanza, ti spiego perché quella pausa ha fatto bene anche a te cliente.

Quest’anno – e intendo proprio dall’ottobre 2018 – è stato intenso e dai ritmi forsennati: ho lavorato fino a 14 ore al giorno e perfino durante le feste – a Ferragosto, mentre molti erano al mare, ero incollata allo schermo del computer a tradurre e ho continuato i corsi di lingue per tutta estate –, i week end di lavoro molti più di quelli di riposo. Mi sono ritagliata un paio di pause che però non hanno colmato l’enorme dispendio di energie che il lavoro mi ha richiesto, e mi sono trovata nell’ultimo mese ad essere esaurita, nel vero senso della parola: avevo esaurito ogni risorsa possibile per poter lavorare e, soprattutto, farlo bene.

Quando è stanco il freelance non lavora bene

Partiamo proprio dalle basi: una persona stanca, nel fisico e nella mente non lavora bene. Certo, siamo adulti e professionali e stringiamo i denti se ci capita di dormire male o non riposarci abbastanza, ma a lungo andare questa situazione va a minare la nostra lucidità. Personalmente so che in determinati periodi dell’anno ho dei cali di energia dovuti al sovraccarico di lavoro intenso, impegni, scadenze e me ne accorgo perché, oltre a sentirmi sfinita, inizio a perdere la concentrazione, ad essere più lenta nello svolgere compiti comuni, a commettere errori banali, ma fastidiosi – come sbagliare giorno o orario degli appuntamenti o dimenticare di rispondere a un’email. Come in quest’ultimo periodo.

Quando è stanco, il freelance non è creativo

Dopo giorni, settimane, mesi a lavorare a ritmi serrati, si esauriscono le ispirazioni creative e la mente si appiattisce: quando si ha la mente fresca le idee vengono quasi da sole, una mente stanca invece fatica così tanto a concentrarsi sulle piccole cose che non rimane molto spazio ed energia alla creatività. Infatti ora che ho le meningi atrofizzate, per scrivere questo post ci ho messo il triplo del normale e le parole che normalmente mi escono naturali e abbastanza velocemente, ho dovuto cercarle a fondo, rileggerle, cambiarle, riscriverle almeno cento volte. 

Un cambio di prospettiva

Andare in vacanza, che sia vicino casa o dall’altra parte del mondo permette al professionista di riposarsi sì, ma anche di cambiare prospettiva e punto di vista: lontano dallo stress del lavoro, ripensare a certe problematiche a mente fresca e rilassata può aiutare a trovare una soluzione più facilmente. 

Tra l’altro per i linguisti è fondamentale viaggiare e immergersi in lingue e culture diverse dalle proprie e da quelle di lavoro. Il confronto aiuta a mantenere la mente aperta, a trovare nuovi spunti da applicare al proprio lavoro e alla propria vita di tutti i giorni: quando sono stata in Giappone qualche anno fa ho notato che nelle stazioni, per terra, c’era disegnata una fila che chi voleva salire sul treno doveva rispettare, lasciando la precedenza a chi da quel treno doveva scendere. Ecco, lì ho pensato “ma è così semplice, perché non lo facciamo anche noi in Italia?” 

Siamo umani

Last but not least, anzi, forse la motivazione più importante di tutte, che è anche la prima che ci dimentichiamo: siamo umani e il riposo ci serve per rigenerarci. Non siamo i pupazzetti della pubblicità della Duracell che basta cambiargli le pile e ripartono ai duemila. O forse sì, ma quelle pile per essere inesauribili hanno bisogno di pause. Che si chiamano vacanze.

Per questo mi eclisserò per le prossime tre settimane: per riposarmi, farmi venire nuove idee e tornare con una gran voglia di ricominciare da dove eravamo rimasti.

Le vie della traduzione: intervista a MariaPia Montoro

Non è detto che chi studia traduzione all’università debba fare il traduttore di professione e Maria Pia Montoro ne è un esempio lampante.  Dopo una laurea in Lingue e Letterature straniere e master in traduzione e interpretariato con specializzazione in traduzione giornalistica, 11 esperienze di lavoro che oscillano tra la comunicazione istituzionale e la traduzione, Maria Pia è approdata in Lussemburgo dove oggi lavora come Terminologist e Web Content Manager presso le isitutioni europee e scrive sul suo blog, Recremisi.

Chiarirsi le idee su quello che vogliamo fare di lavoro non sempre è facile, anzi, spesso rappresenta il primo grande scoglio nella vita lavorativa. Tra qualche giorno sarà online il Freelance Lab IN VIDEO, una serie di registrazioni organizzate per argomento che ti aiuteranno a trovare la tua strada. Nel frattempo però puoi leggere l’intervista che ho fatto alla mia amica e collega Maria Pia che ti dà qualche spunto per pensare fuori dagli schemi.

F: Quali potrebbero essere secondo te le professioni legate alla traduzione, e per quali è necessaria una formazione in questo settore, che un’aspirante libera professionista può intraprendere, oltre alla mera traduzione?

MP: Nel web. Tutto quello che facciamo e che pensiamo (Facebook stesso ci chiede: a cosa stai pensando?) passa attraverso un monitor, che sia del nostro computer o del nostro smartphone poco importa, si tratta di contenuti e informazioni che qualcuno deve creare, pubblicare, aggiornare, tradurre.

F: Quali corsi di formazione bisogna frequentare e quali libri bisogna leggere per specializzarsi nelle professioni del futuro? Quali risorse consiglieresti?

A scuola si studia per professioni che non esisteranno.

All’università si studia per qualcosa che abbiamo vagamente in testa ma che non è detto che esisterà al termine dei nostro percorso di studi. Sta a noi reinventarci e adattarci alle possibilità del momento in cui ci affacceremo al mondo del lavoro.

Quello che si impara oggi sarà obsoleto fra una decina d’anni. In effetti, i primi 10 posti di lavoro più richiesti oggi non esistevano 10 anni fa. Quando diciamo che viviamo in un mondo che cambia, sottovalutiamo quanto veloce sia il ritmo e quanto vasto sia il cambiamento.

Non importa dove e quali risorse, ci sono buone informazioni ovunque. Piuttosto sta a noi e nella nostra capacità critica cercare buone informazioni. I corsi universitari nel nostro settore sono generalmente troppo vecchi e non rispecchiano le esigenze del mercato. Tuttavia, ci sono eccellenti colleghi che insegnano e che sono aggiornatissimi. In ogni caso nulla è mai sprecato, l’importante è saper sfruttare ciò che si è appreso e adattarlo alle esigenze future, completandoli con nuove competenze. Io sono molto a favore dei webinar e dei corsi online. Li trovo molto validi perché nascono per colmare esigenze immediate, sono veloci, non sono molto costosi e permettono di approfondire ciò che ci interessa veramente. Le conferenze, sono sempre un investimento. Social media, molto spesso i colleghi postano informazioni molto utili.

Il bello dei nostri tempi è che tutti possiamo acquisire grandi quantità di informazioni semplicemente stando seduti al computer. Il nostro smartphone da solo ci consente di accedere a una tale quantità di informazioni. Per avere successo oggi è necessario essere in un costante processo di adattamento: disimparare vecchie regole e reimpararne di nuove. Ciò richiede continuamente la messa in discussione di nostre teorie, sfidando vecchi paradigmi e “reimparando” quello che ora è rilevante nel nostro lavoro, il nostro settore, la nostra carriera e la nostra vita.

Quando le regole cambiano velocemente, la nostra capacità di abbandonare vecchie regole e di apprenderne di nuove, è fondamentale. L’agilità di apprendimento è la chiave per migliorare le nostre competenze, riuscendo ad adattarci in un ambiente incerto, imprevedibile ed in continua evoluzione, personalmente e professionalmente.

F: Anche se non sei una libera professionista, qual è l’errore più grande che hai commesso nel tuo lavoro? E come hai affrontato questa difficoltà?

MP: Non impegnarmi nelle attività che non mi piacevano. Mi rifiutavo di applicarmi nelle mansioni che non mi entusiasmavano. È normale, lo so, ma bisogna imparare a fare tutto e uscire fuori dalla comfort zone. Mi è capitato di occuparmi di attività che odiavo, avrei invece dovuto rilassarmi, mettere le cuffiette, ascoltare della musica e lavorare con calma. Alla fine ci serve tutto! Alcuni problemi che ho avuto successivamente, li avrei risolti se avessi imparato a fare proprio quelle cose che odiavo. Tutto ci ritorna utile, anche se non c’entra nulla con la nostra attività principale.

F: Qual è l’errore più comune che vedi commettere da chi si affaccia al mondo del lavoro?

MP: Non avere idee. Non avere interessi. Fare qualunque cosa pur di guadagnare qualcosa. Inviare lo stesso CV a tutti. Smettere di aggiornarsi: siamo tutti nati con un intenso desiderio di imparare, ma qualunque sia la ragione, una volta che le basi sono coperte, molte persone tendono a basarsi su ciò che sanno per evitare situazioni o sfide dove possono essere costretti a imparare qualcosa di nuovo. Ci si crea un mondo sicuro, sicuro e comodo per se stessi. Diciamo di essere aperti al cambiamento, ma facciamo del nostro meglio per evitarlo, questo ritardo poi lo paghiamo caro.

Non essere sui social. Se sei bravo ma non lo dici a nessuno, lo sanno solo i tuoi familiari e i tuoi colleghi. Se sei bravo e lo dici (e soprattutto lo dimostri) a tutti, lo sa tutto il mondo. Questo vale soprattutto per i liberi professionisti. Se consideriamo che chiunque può lavorare da qualsiasi luogo, le prospettive cambiano completamente. I confini tradizionali scompaiono e i talenti più qualificati provenienti da ogni parte del mondo possono accedere alla nostra posizione lavorativa a costi più competitivi. La nostra capacità di adattamento ai cambiamenti e il modo proattivo di modificare la nostra carriera faranno la differenza cruciale nel nostro futuro.

Proclamare con entusiasmo ai 4 venti un’idea che ci è appena venuta per poi spegnerci dopo tre giorni perché non sappiamo più cosa fare. L’idea ti viene quando le pare, non ci puoi fare niente. Quando arriva, la devi amare e allevare e lasciare che cresca, rispettando i suoi tempi. Essere tanto paziente, non aspettare subito i risultati ma prevedere almeno un anno. Fare un progetto a lungo termine considerando eventuali successi e fallimenti. Avere un piano B. Avere un piano C. Essere pronti a eventualità assolutamente imprevedibili.

F: Quale consiglio spassionato daresti a tua sorella o alla tua migliore amica che puoi dare anche alle caviette del Freelance Lab?

MP: Ficcate il naso ovunque, incuriositevi sempre, leggete anche cose di cui non capite niente. Sfruttate ogni momento libero per leggere qualcosa di nuovo. Non chiudetevi in casa, appena vi liberate andate a eventi, di qualunque tipo, anzi, più sono diversi dalla vostra attività e meglio è. Andate ad eventi legati alla traduzione per approfondire le vostre competenze ma andate a eventi non collegati alla vostra attività perché vi potrebbero sempre dire “ah, ma tu sei un traduttore? Lo sai che mi servirebbe una traduzione per il mio nuovo manuale di agricoltura biodinamica?”  Chi non è del nostro settore, non ha assolutamente idea di dove cercare un traduttore. Abbiate sempre un’idea pronta in testa, appena iniziate a parlare con qualcuno, dopo esservi presentate, trovate il modo di dire che state lavorando a un progetto tutto vostro. Avete pochi secondi per far una buona impressione. Se poi indossate anche la maglietta e i gioielli giusti, sapranno da subito di cosa vi occupate (sorriso di Joker).

Il (terzo) Freelancecamp non si scorda mai

Lo scorso week end mi sono armata di infradito e costume gonna e canottiera e sono andata in Romagna per il Freelancecamp. È stata la mia terza edizione ma l’emozione era come la prima volta e la felicità come davanti a un paio di Valentino.

Il primo Freelancecamp

La mia prima edizione dell’anno scorso a Marina Romea mi ha reso così entusiasta che non ho fatto altro che parlarne con tutte le persone che ho incontrato per i successivi mesi. È stato forse il primo evento di networking al quale sono andata sola, non conoscevo nessuno di persona e non avevo appoggi: con nonchalance (e la mia canottiera con scritto ANSIA a caratteri cubitali, per mettere subito in chiaro le cose) mi sono presentata al Boca Barranca, ho stretto mani, elargito sorrisi e bevuto mojito. Ero emozionata perché avrei incontrato persone che seguivo sui social da tempo e che stimavo particolarmente (Annamaria, Roberta, Daniela, solo per citarne alcune) e perché la domenica mattina avrei inaugurato la giornata di interventi con il mio “L’inglese del freelance“. Mi sono portata a casa una valanga di nuove idee e di conoscenze e devo dire che è soprattutto grazie al Freelancecamp se ho fatto un po’ di strada quest’anno.

Ti consiglio di vedere assolutamente:

Il secondo Freelancecamp

A marzo sono uscite le call for speakers delle due edizioni del Freelancecamp del 2017, quella nuova di Roma e la classica di Marina Romea. Avevo un paio di proposte di intervento da fare e le ho inviate entrambe tenendo le dita incrociate. A Roma in realtà non contavo di andarci, pensavo di non riuscire a incastrare il lavoro e gli altri impegni con questa trasferta. Invece il mio speech “Vademecum per aspiranti freelance“, ispirato all’esperienza del Freelance Lab, è stato scelto e non potevo certo rinunciare ad andare. All’edizione romana hanno partecipato moltissime colleghe che non avevo mai conosciuto di persona ma con le quali mi sono sempre e solo sentita online: dare un volto umano, un corpo, una voce agli avatar di Facebook & co. è sempre una bella cosa.

Se non c’eri, non puoi assolutamente perderti:

Run like a freelance di Donata Columbro

Dare un prezzo al proprio valore di Cristiano Nordio e Gianluca Fiscato

Come sopravvivere ai mali del freelance di Simona Sciancalepore

Il terzo Freelancecamp

7 giugno, mentre preparavo le valigie per Torino, mi squilla il telefono e ricevo questa email:

[Gridolini e saltellini in sottofondo]
Che dire, tre edizioni su tre come speaker sono state una bella scarica di autostima (o per dirla alla Marchetto, di EGO). Che sarei andata all’edizione in Romagna non c’era dubbio, se non altro per respirare il profumo di mare prima dell’arrivo dell’inverno. Ma anche per tornare là dove tutto era iniziato, un anno prima, e rivedere quelle facce amiche che mi avevano fatto sentire a casa. Quest’anno a Marina Romea ho portato l’intervento “Dr. Jekyll e Mr. Hyde: il freelance che vuole fare il dipendente“, basato su una storia vera – cioè la mia come dipendente della scuola pubblica.

Cosa guardare per metterti in pari? Tutto! Ma se proprio devo fare una selezione, questi sono i miei tre preferiti:

Mi vendo… di Roberta Zantedeschi

5 cose che farei su Facebook, se fossi un freelance di Enrico Marchetto

Delegare bene per lavorare meglio di Nicole Zavagnin

Perché il Freelancecamp

Di tanti eventi di networking possibili tra i quali scegliere, ci sono almeno 200 motivi per andare al Freelancecamp, per prendere ispirazione da Mariachiara. Perché è un evento al di fuori del mio settore. Questo aspetto è stato determinante nel farmi scegliere di partecipare l’anno scorso ed è quello che mi ha portato più vantaggi. Conoscere persone che non parlano e non lavorano con la traduzione e il mondo delle lingue in generale mi ha permesso di far conoscere il mio lavoro e trovare potenziali clienti. In più sono riuscita a vedere con più distacco il mio approccio al lavoro, il modo di propormi, il mio stare sui social e ho potuto prendere ispirazione da quello che facevano le persone che si occupavano di scrittura, marketing, web e graphic design.

  • Perché è al mare – e io amo il mare! Può sembrare una motivazione banale, ma la location fa tanto sulla riuscita dell’evento: la vista della spiaggia è sicuramente più suggestiva di una qualsiasi sala riunioni! Il mood è molto tranquillo da infradito-costume-pareo e con un drink in mano si riesce a socializzare decisamente meglio!
  • Per gli interventi. Ho imparato tantissime cose da ogni edizione: ciascun contributo è stato diverso dagli altri, mirato ma al tempo stesso semplice e facile da capire anche per i non addetti ai lavori . In più l’evento si può seguire in diretta streaming oppure si possono ripescare tutti gli speech delle edizioni passate su YouTube. Se ti perso qualche intervento per strada, non hai più nessuna scusa per non recuperare.
  • Per staccare la spina. I freelance difficilmente riescono a staccare del tutto con il lavoro di sera o in vacanza e questo a lungo andare porta a un senso di estremo sfinimento. Staccare la spina ogni tanto, prendersi un piccolo break che può comunque essere categorizzato sotto l’etichetta #èperlavoro, ma che al tempo stesso è utile e divertente, è davvero un tocca sana.
  • Per le persone. Oh, io odio abbastanza le persone, ma di quelle che ho conosciuto al Freelancecamp non ne butterei via nessuna! Mi hanno spiazzato con la gentilezza, la cortesia, le chiacchiere, la condivisione, gli abbracci e i sorrisi, anche nei confronti di una come me che apparentemente non c’azzeccava nulla e rispetto a molti dei presenti era – ed è – una novellina. Con diverse persone mi sono perfino sentita e incontrata spesso al di fuori dell’evento e dai contesti lavorativi. E credo che questo più di tutto sia l’aspetto più bello e impagabile per un “semplice” evento di networking.

Credits: La bellissima foto di copertina è di Damiano Tescaro, le altre foto scrause sone mie!

Breve guida al Freelancecamp

Sabato e domenica sarò per la terza volta al Freelancecamp, la seconda a Marina Romea, e non sto più nella pelle. (Se non sai cos’è il Freelancecamp, cito Nicole Zavagnin: “È una figata pazzesca!”) Oltre ad andarci a parlare, credo che questo ritrovo sulla spiaggia sia un evento utilissimo per fare networking, conoscere persone fuori dal mio settore e prendermi un paio di giorni di stacco. L’anno scorso ho partecipato per la prima volta e mi ricordo la sensazione di pulcino spaurito in mezzo al cortile affollato – del tutto ingiustificata – così ho deciso di scrivere una breve guida al Freelancecamp.

Cosa fare al Freelancecamp

  • Lascia a casa la timidezza e buttati. Parla con le persone che incontri, presentati, spiega di cosa ti occupi: al Freelancecamp potresti trovare il tuo prossimo cliente.
  • Rilassati. L’ambiente è easy e vedrai che ti sentirai subito a tuo agio. In più il bar è sempre aperto e se hai bisogno di un “incoraggiamento”, puoi trovare mojito e gin tonic – o i bomboloni alla Nutella. Anche alle 10 della mattina, al Freelancecamp nessuno ti giudicherà!
  • Sii social. Condividi le foto e le parole di chi parla, fai live twitting, invadi le bacheche degli amici con le foto sorridenti dal Boca, collegati in diretta sui social con le persone che conosci. Il Freelancecamp è il posto migliore dove essere social.
  • Arriva puntuale. Sembra scontato, ma è sempre buona cosa ricordarlo. Le registrazioni apriranno alle 8.45 e resteranno aperte per un’ora prima dell’inizio degli interventi: se arrivi per tempo avrai modo di trovare un posto a sedere non in piccionaia e di fare (una seconda) colazione!
  • Vieni preparato (se no rimedia in corso d’opera). Sul sito del Freelancecamp trovi il programma delle due giornate con tanto di orari, con i nomi degli speaker e gli argomenti di cui parleranno.

Cosa portare al Freelancecamp

  • L’ANTIZANZARE! Vieni anche in mutande, ma l’antizanzare – e il dopo puntura – proprio non puoi dimenticarlo. Soprattutto dopo le 17, quando inizia il zanzara happy hour, non potrai sopravvivere senza.
  • Capitolo vestiti. Come ho già detto sopra, il mood del Freelancecamp è molto tranquillo e puoi presentarti proprio come meglio credi. L’anno scorso io ero in short e canottiera, quest’anno decisamente no viste le temperature, ma credo proprio mi presenterò in jeans e maglietta. Quello che ho imparato dall’edizione passata è di evitare i tacchi perché l’ambiente circostante il Boca Barranca non è dei più comodi per portare i trampoli – ma se ci sei abituata, vai tra. Un maglioncino, una giacca di pelle (o comunque che tenga l’aria) e una sciarpina per la sera non saranno di troppo, soprattutto se sei freddoloso come me. La filosofia è: come as you are. Se proprio vuoi uno spunto, questa sarà la mia valigia:

  • Penna e quaderno per gli appunti. Gli interventi del Freelancecamp sono sempre molto interessanti e ti può tornare utile appuntarti gli spunti degli speaker o le idee che ti verranno ascoltando gli altri parlare. Se sei più tecnologico, vanno benissimo anche tablet, computer o telefoni. Io prediligo la leggerezza e mi affido a carta e penna.
  • Power bank e carica batterie. Userai tantissimo i tuoi dispositivi, in primis il cellulare, e avrai bisogno prima o poi durante la giornata di ricaricarli. L’anno scorso erano disponibili prolunghe con più prese, ma se non ce ne fossero per tutti, un power bank ti può salvare.
  • Biglietti da visita e gadget vari. Come ad ogni evento di networking, scambiarsi i biglietti da visita è lo sport che va per la maggiore – dopo i mojito, chiaro. Prendine a sufficienza per poterli dare a chi te li chiede. Anche i gadget possono essere un’alternativa carina e interessante per farti riconoscere.

Se hai bisogno di altre informazioni trovi tutto – ma tutto tutto – sul sito del Freelancecamp. Per trovare un biglietto last minute o per organizzarti con il car sharing puoi scrivere sul gruppo Facebook. Se pensi che mi sia dimenticata qualcosa scrivi direttamente a me e vedrò di integrare questa guida con ciò che manca.

Per il resto goditi il Freelancecamp, ci vediamo là!

5 cose che ho imparato al WordCamp di Torino

 

Lo scorso week end sono andata a Torino per il WordCamp, la conferenza per gli amanti di WordPress. Mi ricordo che l’edizione dell’anno scorso, la prima di Torino, me la sono persa perché ero di servizio a scuola e per questo mi ero ripromessa che nel 2017 ci sarei dovuta andare.

Così, con la mia solita dose di leggerezza e incoscienza, ho proposto un intervento sulla traduzione per un pubblico di informatici, grafici e geek in genere. E toh,  il 24 febbraio, nel bel mezzo della mia crisi mistica-spirituale-fisica, mi ha scritto Francesca: il mio speech era stato accettato e il mio umore aveva avuto un picco altissimo. Saltellini di gioia, gridolini, telefonate ai parenti fino al quarto grado e ansia, come di consueto.

Mi sono chiesta più e più volte se avessi fatto la scelta giusta a proporre un intervento in occasione di un evento dall’argomento molto lontano da me e dalle mie competenze, dove non conoscevo – quasi – nessuno e la probabilità di fare figure di melma era altissima. Ma sempre sono andata dritta per la mia strada con decisione, mi sono presentata a Torino e ho imparato almeno cinque cose nuove.

1. Uscire dalla comfort zone fa sempre bene

L’ho scoperto per la prima volta al KitTrad di Verona e poi al Freelancecamp di Marina Romea l’anno scorso: partecipare a eventi, anche fuori dal proprio settore, fa respirare aria fresca e apre la mente. Non è solo una questione di faccio-cose-vedo-gente, è un vero e proprio cambio di prospettiva: parli con persone che non sanno niente del tuo lavoro e capisci come devi modificare la comunicazione per far capire cosa fai.  Ti capita di parlare di traduzione con informatici che ti suggeriscono nuovi strumenti di lavoro. Vedi come altre professioni si promuovono e improvvisamente hai un nuovo spunto sul quale lavorare.

Il WordCamp di Torino per me è stato un po’salto nel buio, mi sono addentrata in un evento che parla di cose a me per lo più sconosciute.  Avevo paura di non conoscere nessuno e di sentirmi fuori luogo, invece ho incontrato di nuovo persone che avevo conosciuto a settembre al Freelancecamp, ho incontrato -finalmente – amicizie virtuali che non avrei creduto avrei ritrovato proprio lì e ho conosciuto persone nuove – ça va sans dire. E poi – momento gongolamento – sono stata riconosciuta dal mio intervento dell’anno scorso al Freelancecamp, da Giorgio, re degli avvocati.

2. Il WordCamp non è solo per addetti ai lavori

La mia paura più grande quando ho saputo che il mio intervento era stato accettato era quella di non centrare nulla con l’evento in sé. In realtà il WordCamp  è stato organizzato in modo da permettere a tutti di sperimentare e di partecipare ad interventi interessanti,  dove non si parla esclusivamente di codice.

Venerdì, giorno del Contributor Day, ho potuto mettere le mani in pasta come contributor e nello specifico come polyglot traducendo da volontaria varie parti e componenti di WordPress. Laura e Alice ci hanno spiegato il processo di traduzione secondo le regole che la comunità ha stabilito e ci hanno supportato durante i nostri primi passi.

Nella seconda giornata di sabato si è tenuta la conferenza vera e propria e gli interventi sono stati suddivisi in due percorsi paralleli: una sala era dedicata ai meno abbienti – di conoscenze tecniche – come me, la seconda agli addetti ai lavori. Non ho partecipato a speech dove si parlava di codice, ma ho trovato molto utili l’intervento di Giorgio Trono sulle condizioni del contratto da stipulare con il cliente – valido non solo per chi progetta i siti web – e quello di Barbara Damiano per far crescere le visite al sito e al blog.

3. Non so fare le presentazioni e devo rivedere il mio parlare in pubblico

La sera prima del mio intervento il mio amico Cristiano mi aveva già fatto notare, neppure troppo velatamente, che le mie slide non erano proprio il massimo, ma io che sono testona non ho modificato neppure una virgola. Finché non mi sono schiantata contro il muro della verità: in effetti le mie slide erano piene pienissime di testo, decisamente troppo cariche. Nella to-do-list dei prossimi mesi c’è: imparare a fare le slide.

Quando poi ho riguardato la registrazione (sì, c’è una registrazione, ma non la condividerò perché mi vergogno!) ho odiato la mia voce e il mio accento marcatamente emiliano. Per non parlare della postura: se mi vedesse il mio istruttore di pilates, mi vieterebbe di entrare di nuovo dalla sua porta perché dopo 5 anni di esercizi ho ancora le “spalle alte”, attaccate alla testa. Quindi nella to-do-list dei prossimi mesi c’è anche: pensare alla postura quando parlo con le persone e fare un corso di dizione.

4. L’importanza del networking

È incredibile la potenza del contatto umano. Come ho già detto, andare a Torino da sola per un evento al di fuori del mio settore ha rappresentato una grande sfida. Dovevo per forza arrivare il giorno prima dell’inizio del WordCamp per non perdermi metà evento, ma non sapevo come sfruttare il tardo pomeriggio e la sera, così ho lanciato nel mare di Facebook una “richiesta di aiuto”: è stato così che mi sono organizzata con Alice e Alessandra per un aperitivo – poi trasformatosi nel tipico bicerin  torinese -, con Daniela, Mariachiara e Cristiano (sì, quello cattivo) per la cena di venerdì e con Silvia per la cena di sabato.

In più sapevo che al WordCamp avrebbero partecipato persone che conosco solo virtualmente e che mi avrebbe fatto piacere incontrare di persona, così sono andata in giro “a caccia” di facce conosciute. Dopo anni di corrispondenza online e “Mi piace” ai post, ho finalmente visto in carne e ossa Carmen, che oltre ad essere stata la grafica del logo di Marta, è stata mia compagna di viaggio quando ho aperto partita iva.

5. La traduzione volontaria è una cosa bellissima – MA ANCHE MOLTO SERIA

Quando ho condiviso con alcune amiche e colleghe l’idea di partecipare al WordCamp e parlare di traduzione a chi traduce quotidianamente l’interfaccia di WordPress pur non avendo una formazione accademica in questo settore, ho aperto – consapevolmente – un vaso di Pandora.

Non ci si può certo improvvisare traduttori – o fotografi, grafici, wedding planner… – ma credo che il caso di WordPress sia un po’ diverso. Ho avuto modo di vedere con i miei occhi come la comunità dei polyglots sia ben organizzata: hanno un glossario di riferimento, linee di stile analoghe a quelle delle agenzie di traduzione e uno strumento per verificare l’uniformità terminologica. In più le parti da tradurre sono suddivise in segmenti  e hanno un’estensione per Firefox e Chrome che suggerisce termini del glossario ufficiale all’interno della pagina che si sta traducendo proprio come nei CAT. Chi traduce da volontario poi è spesso una persona che conosce il mondo IT alla perfezione, quindi ha una perfetta padronanza della terminologia specifica (leggi: meno errori nella traduzione del lessico).

Credo che partecipare attivamente a un progetto utile come WordPress – con le traduzioni, la grafica, l’elaborazione di plugin – possa arricchire le proprie conoscenze e possa permettere che la piattaforma resti open source com’è ora.

Nei prossimi mesi voglio partecipare attivamente come traduttrice volontaria e mi ritaglierò dei momenti per lavorare a questo progetto. La collaborazione di traduttori professionisti con i polyglots può migliorare significativamente – nonostante le basi siano già molto buone – il modo in cui si traduce l’interfaccia di WordPress e i suoi componenti. Credo molto nella condivisione e la applicherò anche in questo contesto. E sarebbe bellissimo poterlo fare insieme a qualche collega.

[Se vuoi partecipare come polyglots puoi partire da qui]

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