Lo scorso week end sono andata a Torino per il WordCamp, la conferenza per gli amanti di WordPress. Mi ricordo che l’edizione dell’anno scorso, la prima di Torino, me la sono persa perché ero di servizio a scuola e per questo mi ero ripromessa che nel 2017 ci sarei dovuta andare.
Così, con la mia solita dose di leggerezza e incoscienza, ho proposto un intervento sulla traduzione per un pubblico di informatici, grafici e geek in genere. E toh, il 24 febbraio, nel bel mezzo della mia crisi mistica-spirituale-fisica, mi ha scritto Francesca: il mio speech era stato accettato e il mio umore aveva avuto un picco altissimo. Saltellini di gioia, gridolini, telefonate ai parenti fino al quarto grado e ansia, come di consueto.
Mi sono chiesta più e più volte se avessi fatto la scelta giusta a proporre un intervento in occasione di un evento dall’argomento molto lontano da me e dalle mie competenze, dove non conoscevo – quasi – nessuno e la probabilità di fare figure di melma era altissima. Ma sempre sono andata dritta per la mia strada con decisione, mi sono presentata a Torino e ho imparato almeno cinque cose nuove.
1. Uscire dalla comfort zone fa sempre bene
L’ho scoperto per la prima volta al KitTrad di Verona e poi al Freelancecamp di Marina Romea l’anno scorso: partecipare a eventi, anche fuori dal proprio settore, fa respirare aria fresca e apre la mente. Non è solo una questione di faccio-cose-vedo-gente, è un vero e proprio cambio di prospettiva: parli con persone che non sanno niente del tuo lavoro e capisci come devi modificare la comunicazione per far capire cosa fai. Ti capita di parlare di traduzione con informatici che ti suggeriscono nuovi strumenti di lavoro. Vedi come altre professioni si promuovono e improvvisamente hai un nuovo spunto sul quale lavorare.
Il WordCamp di Torino per me è stato un po’salto nel buio, mi sono addentrata in un evento che parla di cose a me per lo più sconosciute. Avevo paura di non conoscere nessuno e di sentirmi fuori luogo, invece ho incontrato di nuovo persone che avevo conosciuto a settembre al Freelancecamp, ho incontrato -finalmente – amicizie virtuali che non avrei creduto avrei ritrovato proprio lì e ho conosciuto persone nuove – ça va sans dire. E poi – momento gongolamento – sono stata riconosciuta dal mio intervento dell’anno scorso al Freelancecamp, da Giorgio, re degli avvocati.
2. Il WordCamp non è solo per addetti ai lavori
La mia paura più grande quando ho saputo che il mio intervento era stato accettato era quella di non centrare nulla con l’evento in sé. In realtà il WordCamp è stato organizzato in modo da permettere a tutti di sperimentare e di partecipare ad interventi interessanti, dove non si parla esclusivamente di codice.
Venerdì, giorno del Contributor Day, ho potuto mettere le mani in pasta come contributor e nello specifico come polyglot traducendo da volontaria varie parti e componenti di WordPress. Laura e Alice ci hanno spiegato il processo di traduzione secondo le regole che la comunità ha stabilito e ci hanno supportato durante i nostri primi passi.
Nella seconda giornata di sabato si è tenuta la conferenza vera e propria e gli interventi sono stati suddivisi in due percorsi paralleli: una sala era dedicata ai meno abbienti – di conoscenze tecniche – come me, la seconda agli addetti ai lavori. Non ho partecipato a speech dove si parlava di codice, ma ho trovato molto utili l’intervento di Giorgio Trono sulle condizioni del contratto da stipulare con il cliente – valido non solo per chi progetta i siti web – e quello di Barbara Damiano per far crescere le visite al sito e al blog.
3. Non so fare le presentazioni e devo rivedere il mio parlare in pubblico
La sera prima del mio intervento il mio amico Cristiano mi aveva già fatto notare, neppure troppo velatamente, che le mie slide non erano proprio il massimo, ma io che sono testona non ho modificato neppure una virgola. Finché non mi sono schiantata contro il muro della verità: in effetti le mie slide erano piene pienissime di testo, decisamente troppo cariche. Nella to-do-list dei prossimi mesi c’è: imparare a fare le slide.
Quando poi ho riguardato la registrazione (sì, c’è una registrazione, ma non la condividerò perché mi vergogno!) ho odiato la mia voce e il mio accento marcatamente emiliano. Per non parlare della postura: se mi vedesse il mio istruttore di pilates, mi vieterebbe di entrare di nuovo dalla sua porta perché dopo 5 anni di esercizi ho ancora le “spalle alte”, attaccate alla testa. Quindi nella to-do-list dei prossimi mesi c’è anche: pensare alla postura quando parlo con le persone e fare un corso di dizione.
4. L’importanza del networking
È incredibile la potenza del contatto umano. Come ho già detto, andare a Torino da sola per un evento al di fuori del mio settore ha rappresentato una grande sfida. Dovevo per forza arrivare il giorno prima dell’inizio del WordCamp per non perdermi metà evento, ma non sapevo come sfruttare il tardo pomeriggio e la sera, così ho lanciato nel mare di Facebook una “richiesta di aiuto”: è stato così che mi sono organizzata con Alice e Alessandra per un aperitivo – poi trasformatosi nel tipico bicerin torinese -, con Daniela, Mariachiara e Cristiano (sì, quello cattivo) per la cena di venerdì e con Silvia per la cena di sabato.
In più sapevo che al WordCamp avrebbero partecipato persone che conosco solo virtualmente e che mi avrebbe fatto piacere incontrare di persona, così sono andata in giro “a caccia” di facce conosciute. Dopo anni di corrispondenza online e “Mi piace” ai post, ho finalmente visto in carne e ossa Carmen, che oltre ad essere stata la grafica del logo di Marta, è stata mia compagna di viaggio quando ho aperto partita iva.
5. La traduzione volontaria è una cosa bellissima – MA ANCHE MOLTO SERIA
Quando ho condiviso con alcune amiche e colleghe l’idea di partecipare al WordCamp e parlare di traduzione a chi traduce quotidianamente l’interfaccia di WordPress pur non avendo una formazione accademica in questo settore, ho aperto – consapevolmente – un vaso di Pandora.
Non ci si può certo improvvisare traduttori – o fotografi, grafici, wedding planner… – ma credo che il caso di WordPress sia un po’ diverso. Ho avuto modo di vedere con i miei occhi come la comunità dei polyglots sia ben organizzata: hanno un glossario di riferimento, linee di stile analoghe a quelle delle agenzie di traduzione e uno strumento per verificare l’uniformità terminologica. In più le parti da tradurre sono suddivise in segmenti e hanno un’estensione per Firefox e Chrome che suggerisce termini del glossario ufficiale all’interno della pagina che si sta traducendo proprio come nei CAT. Chi traduce da volontario poi è spesso una persona che conosce il mondo IT alla perfezione, quindi ha una perfetta padronanza della terminologia specifica (leggi: meno errori nella traduzione del lessico).
Credo che partecipare attivamente a un progetto utile come WordPress – con le traduzioni, la grafica, l’elaborazione di plugin – possa arricchire le proprie conoscenze e possa permettere che la piattaforma resti open source com’è ora.
Nei prossimi mesi voglio partecipare attivamente come traduttrice volontaria e mi ritaglierò dei momenti per lavorare a questo progetto. La collaborazione di traduttori professionisti con i polyglots può migliorare significativamente – nonostante le basi siano già molto buone – il modo in cui si traduce l’interfaccia di WordPress e i suoi componenti. Credo molto nella condivisione e la applicherò anche in questo contesto. E sarebbe bellissimo poterlo fare insieme a qualche collega.
[Se vuoi partecipare come polyglots puoi partire da qui]
🙂
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